di Romeo D’Emilio
Prof. Accedemia Belle Arti di Foggia
Amore, ardore, dolore, errore, fattore, splendore, valore…..sono queste, nel rimario medievale stilnovistico, le parole che più fanno rima, per quantità, con cuore.
Ma perché, e da quando, il cuore fa rima con amore? Perché, e da quando, all’intelletto si oppone il cuore, alla ragione della mente si oppone quella del cuore? E da quando, e perché, mente e ragione sono considerate fra loro in-compatibili? i loro moti irriducibili ad un unico movente? E ci chiediamo ancora: è possibile rintracciare un senso comune? E’ possibile, anche per la filosofia, volgersi di nuovo verso l’amore? Verso ciò che, in fondo, o meglio, all’origine, appartiene al suo stesso atto di nascita, come la stessa filosofia platonica sta a testimoniare? “In quello punto dico veracemente che lo spirito della vita, lo quale dimora nella secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente….In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora nell’alta camera ne la quale tutti gli spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a meravigliare molto e parlando spezialmente a gli spiriti del viso, si disse queste parole: Apparuit iam beatitudo vestra. In quella punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere e piangendo disse queste parole: Heu miser quia frequenter impeditus ero deinceps!”. 1
Queste parole celeberrime della Vita nova, rimandano alla dottrina del pneuma, di cui diffusamente aveva parlato Aristotele. Centrale, in questa teoria, è l’idea di un pneuma, di un soffio caldo che viene originato dalle esalazioni del sangue. Dal cuore il pneuma si diffonde nel corpo, vivificandolo e sensibilizzandolo, attraverso un proprio sistema circolatorio che penetra in ogni parte dell’organismo. Il pneuma, che accompagna l’anima nel suo passaggio dagli astri alla terra, è lo strumento dell’immaginazione.
Nel tempo pneuma e fantasia sembrano convergere per poi fondersi e dar luogo ad uno spirito fantastico, nel cui segno si compie l’esaltazione della fantasia come mediatrice fra corporeo e incorporeo, razionale ed irrazionale, umano e divino.2 Ed è quindi dal cuore che viene originato lo spirito vitale che, sale al cervello e diventa animale. Un’unica corrente pneumatica circola nell’organismo e in essa si unifica dinamicamente ciò che solo staticamente si può considerare diviso…..
Lo spirito peregrino, questa volta nella Commedia, esce dal cuore per compiere il suo viaggio estatico “oltre la spera che più larga gira”; e questo spirito può pervenire a quella visione che “lo mio intelletto no lo puote comprendere”.
L’operazione di racchiudere il cuore all’interno di una grossa cornice, evocando l’immagine medievale del pneuma, sembra essere un tentativo di non disperderlo in un mondo, quello contemporaneo, che più non sa comprenderlo.
E’ un’immagine che non si rivolge quindi solo agli occhi, né alla pura ragione. Il Kuore di Gianni è il tentativo di superare la concezione tradizionale della bellezza; non vuole essere “bello”, non vuole essere una semplice struttura superficiale retta dal principio di equilibrio ed armonia ma si presenta esso stesso nella sua profondità, letteralmente intesa. Ed è in questo modo che il suo kuore si offre al nostro sguardo, con un invito a ritrovare uno sguardo originario, che non vuole soffermarsi alla contemplazione passiva della sola superficie ma che accetta di essere investito, a sua volta, dal soffio miracoloso del pneuma.
1 Dante Alighieri, Vita nova;
2 G. Agamben, Stanze, Einaudi, Torino 1977;
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